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      XIII
     
      Affrettiamoci allo sviluppo del nostro racconto.
      Il Notaio, per colmo di miseria, divenne cieco. Concepì allora per Cencio una diffidenza piú che mai viva e pungente, e che nullameno dovea mascherar piú che mai. Condannato a riflettere continuamente sopra se stesso, in quella dolorosa oscurità di occhi, in quel sepolcro anticipato, la facoltà sensitiva dell'anima divenne piú intensa, talché i delitti da gran tempo consumati, gli si schieravano innanzi al guardo della mente con una lucidezza, e, direi quasi, energia di forme non mai veduta. Seduto nella sua camera, solo, abborrito da ogni creatura umana, senza il conforto di concentrarsi nella propria coscienza, che è sempre un tempio aperto e luminoso per l'uomo dabbene, quella larga sua fronte, ingiallita dal morbo interno e dai rimorsi, cadde la prima volta sopra il petto, aggravata da un'amarezza inconsolabile, e meditò! — Tutti i disegni piú vagheggiati, a fascio; il frutto delle sue scelleraggini, l'esecrazione, il rimorso; non altra compagnia che quella di Cencio... d'un forzato. — E l'avvenire! la morte; e dopo la morte! chi sa quai sogni orribili dentro il sepolcro... e accanto al medico! Allora due grosse lacrime sgorgarono tacitamente dalle morte sue pupille; la sua mano si distese per cercare nel vuoto orribile, nel silenzio, nelle tenebre che lo inondavano, una destra amica per sorreggersi, e non v'era che quella di Cencio, di un complice; la croce, su cui solo avrebbe potuto sorreggersi, l'avea spezzata di propria mano; da qual lato rivolgersi, che non fosse luttuosa notte e timore di peggio?


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Racconti popolari dell'Ottocento ligure
Volume Primo e Secondo
di Autori Vari
pagine 484

   





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