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      Nè andarono falliti nella loro aspetazione, giacché dalla voce di Venerio percosso il maledetto mostro, mandando acutissime fischia, uscì dal suo covo e si precipitò negli abissi del mare.
      Altri acerbi disastri intesi raccontare di Luni, quali affatto ignoti agli storici, quali in parte raccolti dagli oscuri cronisti di quella terra. Troppo lunga cosa sarebbe riferirli in queste pagine. Non posso però passare sotto silenzio l'avvenimento che portò l'ultimo colpo all'infelice città.
      Sul volgere dei primi anni dell'undecimo secolo, un barbaro Emir, saraceno (i cronisti lo chiamano Musa, il popolo ne ignora, non che il nome, la patria), dopo essersi reso signore della Sardegna, si portò sulla Magra, avvisando esser quello un luogo acconcio alle sue correrie, perché posto fra Liguria e Toscana. Il disonesto scempio ch'egli fece di Luni, è tale da stringere di raccapriccio. Coloro fra gli abitanti ch'ebbero modo a sottrarsi alla strage, ripararono a Genova e a Pisa, e il racconto delle sozze immanità saracene tanto animo alzò in que’ magnanimi repubblicani, da incitarli a vendetta. Giunsero i loro lamenti all'orecchie del pontefice (Benedetto VIII), il quale, predicando la guerra santa, spronò Genovesi e Pisani a distruggere quel covo di serpi. Allora le flotte di queste città unite mossero a Luni, chiudendo il mare ai Saraceni, mentre il pontefice con forte polso di gente gli stringeva da terra. Un'orrenda battaglia fu dalle due parti con eguale ardore combattuta, finché le squadre barbaresche toccarono sí grave sconfitta, che pochi ne andarono salvi.


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Racconti popolari dell'Ottocento ligure
Volume Primo e Secondo
di Autori Vari
pagine 484

   





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