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      Oh veramente
     
      . . . . . . . . . . invadeTutte cose l'oblio nella sua notte;
      E una forza operosa la affaticaDi moto in moto; e l'uomo e le sue tombe
      E le estreme sembianze e le reliquieDella terra e del ciel traveste il tempo.
     
      Ma in quella che io meditava le umane sorti, mi suonò alle spalle uno scalpito concitato. Non era la cavalleria dei Goti o dei Vandali che invasero questa terra; non erano gli antichi gladiatori che scendeano in questa arena, per ammazzarsi a nome della gloria e per sollazzo di oziosi spettatori; ma sibbene — perdonami, discreto lettore, — una mandra di asinelli vispi e gai, che si slanciarono dentro l'arena, e presero a far tra loro le piú leggiadre capriole, a ravvolgersi in quella onorata polvere olimpica, tanto bella sugli allori del vincitore che Pindaro ed Orazio decantarono. Quella vista mandò in dileguo le poetiche fantasie sui mutamenti delle città e dei popoli, che già in mente mi rampollavano, e le mie gravi meditazioni. Sulle prime, mi parve quello uno sfregio, un ludibrio, quasi un sacrilegio alla maestà delle rovine; ma perdonai facilmente alla festa di quegli innocui animali, quando mi venne a mente, che fu guastato in gran parte il bellissimo anfiteatro di Fiesole, per seminarlo a grano; e deponendo finalmente gli occhialoni dell'archeologo che già cominciano a gravarmi il naso, dirò come i Barbareschi, nel 1016, sbarcarono a questa proda, misero a ferro e fuoco città e campi e pagarono quindi il filo della loro ferocia sulla stessa scena delle loro ribalderie.


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Racconti popolari dell'Ottocento ligure
Volume Primo e Secondo
di Autori Vari
pagine 484

   





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