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      Ma grida piú lamentevoli e disperate scoppiavano negli appartamenti della Marchesa, miste al fragor concitato di spade ripercosse. Ivi a poco, tutto rientrò in silenzio; alcuni satelliti del Marchese dell'Aquila strascinavano giù per le scale un cadavere sanguinoso, ferito e pesto in mille parti; mentre alcuni altri trasportavano a braccia la Marchesina, seminuda, colle chiome scarmigliate, pallida come la morte e priva di conoscenza. Quel corpo strascinato in guisa cosí oscena, era la spoglia del marito di lei, il quale, tuttoché assalito all'impensata e sopraffatto dal numero, difese a lungo la sua famigliuola colla forza dell'amore e dell'ultima disperazione. Il talamo maritale, infiorato dalla speranza, custodito dalla virtù più severa, santuario immacolato degli affetti domestici, fu scomposto, insozzato di strage, assalito da un'orda di assassini. Il marchese dell'Aquila, arse a quella vista di frenetica gelosia, e primo ferì nel petto l'inerme suo parente. Ma la sua vittima lo riconobbe, e gettandogli il proprio sangue sulla visiera abbassata, gli gridò nel cadere:
      — Maledetto! questo sangue ti abbruci l'anima!
      Tentò quindi rialzarsi, far riparo di sua persona a quella della moglie e del pargoletto; ma le tenebre della morte lo tolsero pietosamente a cosí orrendo spettacolo. L'amata donna, stringendo convulsamente il bambino tra le braccia, tentando, come meglio poteva, avvilupparsi nel lenzuolo, alla caduta del marito, levò il capo, fece atto di volerlo sostenere, spalancò gli occhi con guisa spaventevole, gettò uno strido acutissimo, come aquila ferita, e cadde riversa sul guanciale, indifferente a cosa morta.


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Racconti popolari dell'Ottocento ligure
Volume Primo e Secondo
di Autori Vari
pagine 484

   





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