Pagina (287/484)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      .. il figlio mio...?
      L'intelligenza dell'infelice si rischiarò terribilmente; il passato le ricomparve non piú come sogno, ma come palpabile, disperante certezza. Balzò dal letto impetuosamente, si aggrappò alle sbarre della finestra, corse, ricorse quanta era vasta la camera, come lionessa che, privata de' suoi figli, non trova uscita dalla gabbia dove venne rinchiusa; strillò dissennata, chiamò per nome consorte e figlio; quindi, caduta da ogni speranza, si pose a terra, addossata ad un pilastro, cogli occhi spalancati, asciutti, fitti sul pavimento, colle braccia intrecciate al petto... non fece piú motto, non chiese più nulla!...
      — Ahi dura terra, perché non ti apristi?
      La vecchia custode, il cui cuore avea fibre di donna, sebbene impietrate da lunga pezza, sentì che le aride sue pupille si inumidivano; ed accostandosi alla giacente coll'atto piú affettuoso a cui sapesse comporsi:
      — Povera Contessina! cominciò a dirle; fatevi coraggio, il vostro bambino vi sarà restituito.
      Enrichetta, indifferente alle prime parole della vecchia, rinsensò al nome del suo bambino, e scuotendosi all'improvviso:
      — È dunque vivo? dov'è? chiedeva alla guardiana.
      — Fu dato ad una nutrice, qui nel castello.
      — E di chi è questo castello?
      — È del marchese dell'Aquila.
      — Il marchese dell'Aquila! Oh, Dio eterno! ben mi ricordo! E mio marito, e mio figlio, dove sono, perché non accorrono alla mia voce?
      — Acquetatevi; vostro figlio è in buone mani; fu consegnato ad una nutrice nel castello.
      — Chi strappa ad una madre il frutto delle sue viscere per darlo a donna straniera?


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Racconti popolari dell'Ottocento ligure
Volume Primo e Secondo
di Autori Vari
pagine 484

   





Contessina Aquila Aquila Dio