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      Ma Eloisa avea risoluto, prima di cedere il suo castello, di appiccarvi il fuoco ella stessa, seppellirsi nelle rovine, ma coi Turchi, cogli uccisori di suo padre, di suo sposo; e il pensiero che le anime di quegli infedeli sarebbero andate capovolte a casa del diavolo, non avrebbe ritenuto per nulla il suo braccio vendicatore. Quindi il dolore di questa giovine era sí concentrato, ma violento, divorante, e non riceveva conforto che dalla speranza di nuove battaglie; battaglie che si approssimavano.
      Il mattino successivo alla caduta di Costantinopoli, alcune squadre di Mussulmani, traversato il canale del Bosforo, si arrampicavano per i fianchi della montagna cui sovrastava il Castello dei Genovesi. Achmet, capitano dell'impresa, inviò subito un ufficiale, perché ne intimasse la resa ai difensori, ai quali, caduta Costantinopoli, e chiusi per ogni parte dalle falangi vittoriose, tornava inutile ogni resistenza. L'inviato fu introdotto alla presenza di Eloisa, la quale tutta vestita d'armi, e bellissima come la era, percosse di meraviglia il buon Mussulmano. Farsi ammazzare, pensò subito costui fra se stesso, passare sopra un filo, a rischio di precipitar nell'inferno, per andare a goder le Uridi nel paradiso, mentre vi sono in terra creature cosí belle, non è buon calcolo; ma non fece miglior calcolo nel lusingarsi che la giovane che avea dinanzi sarebbe premio della vittoria.
      — Costantinopoli è caduta! cominciò a dirle con tutta la gentilezza di cui era capace.
      — Lo so.
      — Lo stesso imperatore fu ucciso, ed ebbe troncato il capo.


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Racconti popolari dell'Ottocento ligure
Volume Primo e Secondo
di Autori Vari
pagine 484

   





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