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      Pareva che il vincitore si studiasse di consolare con ogni modo la solitudine della donzella, e di prevenire ogni suo desiderio.
      Eloisa si acquetò a poco a poco alla nuova sua fortuna; e seppe merito al Saraceno de' modi onesti e gentili, degnissimi di cavaliero, che le usava continuamente. Ma una nuova sollecitudine che ella stessa non comprendeva, o che piuttosto non ardiva di interrogare, le si era cacciata in cuore. La speranza del ritorno del padre, che l'avrebbe riscattata, piú non era l'assiduo pensiero della sua mente; l'imagine del giovane Saraceno le turbava i sogni, e quell'anima candida, appassionata ne provava quasi un rimorso. Ma il terribile sentimento che già stava per invadere e divorar la sua vita, si palliava colla maschera della pietà: — Come mai, dicea tra se stessa, quell'anima cosí nobile, cosí virtuosa, giacerà eternamente fra le tenebre dell'errore! Quel cavaliero cosí gentile, cosí leggiadro sarà fulminato, rigettato dalla luce di Dio! e talvolta il nome di Achmet le uscì dal cuore colla preghiera piú fervente. Se il cavaliero movea a battaglia, se spiegava le vele al vento, ogni aura, ogni nube che sorgesse nell'orizzonte, facea palpitare la giovanetta; e spesso il primo raggio dell'aurora la trovò appoggiata malinconicamente alla sua finestruola ogivale, cogli occhi fissi al mare, pregni di lacrime e stanchi da lunga veglia.
      Talvolta — misere illusioni del cuore infermo! — si indispettia con se stessa; volea ingannarsi: — Non è desso un infedele? il distruttore della mia casa, l'uccisore di mio fratello, un corsaro, un ladrone avventuriere?


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Racconti popolari dell'Ottocento ligure
Volume Primo e Secondo
di Autori Vari
pagine 484

   





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