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      — Figlia mia, esclamò il vecchio sorreggendola, sei tu dunque la mia Eloisa! prima di morire posso ancora abbracciarti!
      In qual mai luogo, in quale stato si ritrovavano! era sposa o schiava del Saraceno? Quando ella riprese i sensi, trasognata si guardò intorno, incerta ancora del vero, stava adagiata sul letticciuolo della sua camera; il padre, seduto presso il letto, la contemplava ansiosamente tra il dolore e la gioia di ritrovarla.
      La giovanetta prese a narrargli partitamente la lunga serie de' suoi casi, dal giorno in che egli uscì dal castello; e seppe ritrargli cosí al vivo la sublime indole del Saraceno, che il vecchio padre, nel vederlo rientrar nella camera, gli corse incontro, e stringendogli la mano come ad amico:
      — Non debbo piú ricordarmi che d'una cosa, gli disse con lacrime d'allegrezza, della figliuola che mi hai serbata; non ho piú sentimento che di ammirazione e di gratitudine. Quanto posseggo ancora de' lontani miei beni, quanto potrò raccogliere da' miei amici, tutto è tuo, in riscatto di quest'unica mia figliuola, conforto e corona di gloria alla desolata mia canizie.
      Il nobile animo del Saraceno si indegnò a quell'offerta; ed offuscandosi nel sembiante, gli rispondeva alteramente:
      — Quanto tu possiedi, quanto posseggono tutti gli amici tuoi, la corona piú splendida dell'universo non valgono un sol capello di Eloisa.
      Alfonso si tenne per ispacciato; ma Achmet ricomponendosi a quella maestà serena che gli era propria, fatta piú malinconica, ma piú sublime dall'atto generoso che stava per compiere:


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Racconti popolari dell'Ottocento ligure
Volume Primo e Secondo
di Autori Vari
pagine 484

   





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