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      Perciocché essi preziosi metalli sono come le altre cose, che nascono e si raccolgono piú in una provincia che in un'altra, e vengono dalla natura prodotte piú in un luogo che in un altro; e perciò fa di bisogno che ogni principe ed ogni repubblica si contenti di quelle cose che naturalmente sono prodotte e nascono nello Stato o regno suo, e non occorre che i danari siano fatti se non in que' luoghi ove nasce e si cava l'oro e l'argento, ovvero ne' luoghi alle miniere piú accosti. Io non negherò giá che, se un principe o repubblica volesse far fare alcuna quantitá di monete per sua memoria o per qualche altra sua onorata intenzione, ciò potrebbe fare, ma a spese sue, ovvero che si potrebbe convenire con alcuni mercatanti che avessero ori ed argenti da monetare, con usare ad essi qualche condecente facilitazione ovvero in qualche altra maniera gratificarli e farseli benevoli, affinché li portassero nella sua zecca a farli coniare. E voglio che sappiate che, quando fossero fatti gli ordini universali per conto delle zecche, si troverebbono poi pochissimi mercatanti (eccettuati però quelli delle cittá piú prossime alle miniere) che avessero le grandi quantitá di argenti o di ori grezzi o in massa, come sarebbe a dire le cento e le ducento libbre per ciascuno; e, se di presente se ne trovano di quelli che le abbiano, il piú delle volte, a mio credere, sono di monete fuse per rifarne altre con loro guadagni; e, sebbene se ne trovassero poi alcuni che ne avessero tre o quattro ovvero dieci libbre, essi non resterebbono di farli coniare e ridurre in danari a loro spese, per poterli di poi spendere ne' propri bisogni e negozi.


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Economisti del cinque e seicento
di Gasparo Scaruffi - Antonio Serra - Germinio Montanari - Augusto Graziani
Editore Laterza Bari
1913 pagine 458

   





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