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      Dicono che Teseo re d'Atene (viveva questi ne' tempi stessi che regnava Fauno nel Lazio, Laomedonte in Troia ed i giudici in Israele) batté moneta e ví fece scolpire un toro (5), siasi per memoria del minotauro da lui superato, o perché volesse i suoi cittadini eccitare anche con questo segno alla coltura de' campi; ma nondimeno molti anni dopo, se non mentisce un poeta, abbiamo da Omero che Glauco fece un baratto dell'armi sue d'oro, che valevano cento buoi, con quelle di Diomede, ch'eran di ferro e ne valean nove; onde pare che in quei paesi usassero parlar de' buoi a contratto, come ora si fa delle monete, dicendo che un'armatura valeva cento buoi e un'altra nove. Cosí ne' primi tempi di Roma (6) le condanne imposte dalle leggi a certi delitti constavano di pecore. L'una e l'altra, per mia fé, moneta molto grossa e di peso: se però non è equivoco nell'uno e nell'altro luogo; e quel nome di "buoi" in Omero non è piú tosto il nome delle monete istesse di Teseo, che de' buoi portavano l'impronta, come la pecora nelle romane effigiata dicessimo: onde le leggi imponessero la pena di tante pecore, volendo dire di tante monete coll'impronto della pecora; come oggidí si dicono "cavallotti" certe monete lombarde coll'impronto d'un cavallo, e con piú nobile uso sentiamo chiamar "luigi", "filippi", "carlini", "giuli", "paoli", "mocenighi", ecc., varie monete dal nome de' loro principi: costume che fu pur anco de' greci e degli asiatici, che "filippi" e "dari", dal nome di Filippo di Macedonia e di Dario re di Persia alcune monete nominarono.


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Economisti del cinque e seicento
di Gasparo Scaruffi - Antonio Serra - Germinio Montanari - Augusto Graziani
Editore Laterza Bari
1913 pagine 458

   





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