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      Imperciocché, se, per esempio, un principe, che ha suoi scudi d'oro, che solevano valere 15 lire l'uno, e con una marca di tali scudi si comprano 14 marche e 1/2 d'argento in scudi da 8 lire l'uno; se, dico, lascia crescere il valore dello scudo d'oro alle 18 lire e stabilisce che anche gli scudi d'argento si spendano a 9.12, torna la stessa proporzione di prima, perché, anche a questo prezzo, per una marca d'oro averò 14 marche e mezza d'argento. E questo è mantenere la proporzione, non mantenere la valuta estrinseca, perché si può mutare la valuta e mantenere la proporzione; e se egli muta tal proporzione, senza che tutte l'altre piazze siano d'accordo in mutarla, ne nascono sconcerti grandi negli Stati di quelli che dalla comune misura s'allontanano. Imperciocché, se per esempio corre in Genova e nelle altre piazze il prezzo piú comune dell'oro a 14 once e 3/4 d'argento per una d'oro, ed un'altra zecca d'Italia, per esempio quella di Venezia, valutasse le monete d'oro e d'argento in modo che tanto valesse un'oncia d'oro quanto once 14 1/4 d'argento, tutti li mercanti dell'altre piazze manderebbono le monete d'argento a Venezia per avere in cambio altrettanta valuta in oro; imperciocché, se per ogni 14 once e 1/4 d'argento in moneta ponno in Venezia aver un'oncia d'oro, che nel suo paese vale 14 once e 3/4 d'argento, v'è mezz'oncia di argento ogni 14 1/4, che sarebbero due once ogni 57, e sono quasi 4 per cento: onde, trattene le spese e provvigioni al mercante che seco corrisponde, ne porta via ad ogni modo circa 3 per cento di guadagno per sé, guadagnati non in un anno, ma in quelle poche settimane che ci vogliono al trasporto dell'una e dell'altra moneta; e, replicando tali traffichi, a capo d'un anno ne fa guadagno non picciolo.


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Economisti del cinque e seicento
di Gasparo Scaruffi - Antonio Serra - Germinio Montanari - Augusto Graziani
Editore Laterza Bari
1913 pagine 458

   





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