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      --Olim nummularii singulos stateres aureos decem ac ducentis obolis, quos 'pholes' vocant, exactoribus pendebant: principes, quod sibi fore compendio vident, centum et octoginta commutari decernunt, scilicet parte sexta cuiuslibet aurei numismatis subditis omnibus decocta". Pare non sia senza qualche difficoltá questo passo di Procopio, ove dall'aver Giustiniano ridotto gli stateri d'oro a 180 oboli, che prima si cambiavano per 210, sembra aver egli deteriorato in questo modo a' sudditi ogni moneta d'oro una sesta parte. Né mi darebbe fastidio che 30 oboli siano la settima non la sesta parte di 210, perché almeno sono la sesta di 180 residui; ma pare difficile a capire come a Giustiniano tornasse utile, "quod sibi fore compendio vident", il cosí diminuire il valore alle monete d'oro. Ma chi averá considerato qui sopra come l'accrescer di valor le monete d'oro ed argento porta a' principi pregiudizio nell'entrate e dazi, facilmente ancora potrá capire che porterá loro utile lo scemarle di valore. Perciocché, se con uno statere aureo, che pesava mezz'oncia, cioè due didrachmi, avevano 210 oboli, co' quali pagavano, per esempio, il tributo di 21 iugeri di terra; divenuto lo statere solo 180 oboli, non serviva che a pagare per 18, e per conseguenza conveniva loro aggiungere la sesta parte d'uno statere di piú, per pagar quella gravezza, che con un solo statere prima pagavano; ond'è verissimo che d'ogni statere d'oro il suddito ne perdeva la sesta parte.
     
     
     
      CAPITOLO XIII
     
      L'introduzione di monete d'oro e d'argento forestiere a maggior prezzo dell'intrinseca loro bontá produce alzamento di quelle del paese.


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Economisti del cinque e seicento
di Gasparo Scaruffi - Antonio Serra - Germinio Montanari - Augusto Graziani
Editore Laterza Bari
1913 pagine 458

   





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