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      Molti furono i principi che lo imitarono, battendoli anzi peggiori di quelli di Carlo; con che s'imborsarono per sé il guadagno che, senza questo ripiego, averebbono fatto i ministri imperiali. Ma gli uni e gli altri videro alzar di prezzo le altre monete, a perpetuo danno dell'entrate loro.
      Quegli Stati, che hanno continuo e quasi necessario commercio fra loro, bisognerebbe che stassero sempre uniti e concordi ne' prezzi delle monete e le mantenessero alla debita proporzione: altrimenti ogni disordine, che nasca in uno, subito influisce nell'altro a pregiudizio del traffico. Onde non è maraviglia se sono state piú d'una volta guerre mortali fra' principi per causa delle monete, come quando Pietro d'Aragona il quarto guerreggiò contro il re di Maiorica, per aver questo battuto monete inferiori di bontá alla valuta che correvano ed infettati li suoi regni. Ed ai re d'Aragona stessi fu con iscomunica proibito da Innocenzo terzo il batter monete piú leggiere del solito a danno de' sudditi; anzi nella coronazione giurarono quei sovrani, fra l'altre cose, di non mutare le antiche leggi delle monete.
      Succede ancora spesse volte che uno Stato non può bandire le monete d'un altro Stato, non giá per riguardo de' principi prepotenti, ma per non privarsi d'un traffico, senza di cui quello perirebbe. La Puglia suol mandare gran parte de' suoi ogli a Venezia, e le sono pagati con buone monete, perché non costumò giammai la serenissima repubblica mutar d'un iota la bontá ed il peso delle sue.


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Economisti del cinque e seicento
di Gasparo Scaruffi - Antonio Serra - Germinio Montanari - Augusto Graziani
Editore Laterza Bari
1913 pagine 458

   





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