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      Anzi, seguitando le guerre civili, del 1575, sotto Enrico terzo, era giunto il valore di una marca d'oro fino in scudi dal sole a lire 222, che sono, in dieci anni soli, piú di 34 e mezzo per cento. E, paragonando le valute dal tempo di Luigi decimoprimo, che fu appunto cento anni avanti, che l'aveva valutata lire 118, fino al tempo d'Enrico terzo suddetto, che valsero lire 222, sono 88 per cento d'alzamento delle monete o sia abbassamento delle lire immaginarie. Ed al presente, che sono altri cento e piú anni, ha di giá passato 200 per 100 d'augumento, ch'è il triplo della prima valuta e piú.
      E finalmente la peste, la fame ed ogni altra disgrazia universale d'uno Stato, per cui restano sconvolte le altre cose, sconvolge ancora le monete, perché in quelle confusioni gl'incettatori, i falsari, i tosatori ed altri, che fanno professione di pescar nel torbido, non perdono l'occasione, ma si prevalgono delle comuni calamitá a proprio profitto, tanto piú impunemente, quanto che chi dovrebbe castigarli non può, fra quelle miserie, se non debolmente, e talora nulla del tutto, applicarsi per le distrazioni de' mali comuni.
      Oltre di ciò, ne' tempi cosí calamitosi chiunque ha crediti proccura riscuoterli in ogni miglior modo, per valersene; ed all'incontro il debitore proccura di mercantare il bisogno del suo creditore, ed offerisce o monete scarse o cattive od a prezzo troppo alto: onde il creditore, astretto dal bisogno, riceve quello che può avere; s'ingegna esitarlo al prezzo che lo ha ricevuto; e cosí, perché nel vendere e comprare suol essere sempre che il venditore è piú bisognoso del compratore, perciò riceve nel prezzo le monete che può avere, e proccura spenderle alla stessa valuta.


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Economisti del cinque e seicento
di Gasparo Scaruffi - Antonio Serra - Germinio Montanari - Augusto Graziani
Editore Laterza Bari
1913 pagine 458

   





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