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      Certissima cosa è che i partitanti, affine di proprio guadagno, s'ingeriscono in questi affari, né ardirebbono voler persuadere di moversi per zelo del pubblico bene, senza proprio profitto. Ora, se oltre il proprio profitto vogliono che possa ne' loro partiti guadagnare anco il principe, se deve averci profitto anche il popolo tutto, come si vantano il piú delle volte, mi dicano di grazia: chi ha da patire il danno opposto a questo loro utile? Gli estranei, no, perché il principe non può loro comandare che ricevano quelle monete ad altro prezzo che a quello che vorranno essi, mentre non sono suoi sudditi: ed io non discorro qui di monete da spendersi solo in paesi d'altri, come furono i temini sparsi da' cristiani in Turchia, di cui si parlò sopra nel capitolo decimoterzo, perché in quel caso è chiaro che il danno va addosso a quelli; ma parlo delle monete da spendersi nel proprio paese del principe proprio e ne' paesi confinanti. Dunque lo patiranno i sudditi; e, se questo è, dunque ne patirá il principe stesso, pregiudizio del quale è sempre ogni danno de' suoi popoli. Che però questo solo argomento dovrebbe bastare a far bene aprir gli occhi a' principi e loro ministri in ogni incontro di proposizioni di tal sorte; e tanto piú, quanto grasso (come suol dirsi) è il partito.
      Bella cosa pareva a prima vista ad alcuni in Milano, del 1674, il partito che proponeva un tale, di cui sebbene ho veduto il nome in scritture stampate, nondimeno non ho necessitá di narrar altro che il fatto.


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Economisti del cinque e seicento
di Gasparo Scaruffi - Antonio Serra - Germinio Montanari - Augusto Graziani
Editore Laterza Bari
1913 pagine 458

   





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