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      Ed ecco un gran zelo per utile de' popoli, a' quali veniva restituita in buona valuta la cattiva moneta. E, perché correvano le doppie scarse, s'offeriva ritirarne a sue spese e danno sino a 200 mila, che non calassero piú di sei grani l'una, dando in contracambio metá doppie nuove di giusto peso e metá monete d'argento pur nuove. Si poteva egli desiderar di piú? Anzi s'offeriva di vantaggio pagare alla regia Camera per suo signoraggio o "sarsigia", come dicono, 200 mila lire, e battere 200 mila doppie della bontá e peso solito e 500 mila filippi pure alla bontá e peso consueto. Meritava le statue e gl'incensi, piú che non fecero i romani a Mario Gratidiano per aver introdotto in zecca i saggiatori. Ma dimandava in contracambio che gli fosse permesso battere per due milioni (che poi, sotto vari equivoci ed aggiunte, faceva diventar piú di tre milioni) di scudi in monete d'argento da 20 soldi, da 10, da 5 e da due e mezzo, a ragione di 4 per 100 manco del peso e bontá del filippo. A chi non considerava con occhio ben penetrante la qualitá di quest'ultima condizione e rifletteva solo in genere che, volendo far monete cosí minute d'argento, v'andava maggiore spesa che non va a batter filippi, mentre un filippo veniva diviso in molte monete, e' non pareva gran cosa 4 per 100, e maggiormente al riscontro del danno che egli assumeva sulla moneta bassa e su le 200 mila doppie, nelle quali li soli 6 grani per doppia par che montino piú di 4 per 100; onde poco mancò che non fosse serrato il partito, se non era la prudenza vigilantissima di que' magistrati, ed in particolare del presidente delle regie entrate, che ne commise al conte Lorenzo Taverna, allora vicario di provvisione di Milano, le riflessioni proprie.


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Economisti del cinque e seicento
di Gasparo Scaruffi - Antonio Serra - Germinio Montanari - Augusto Graziani
Editore Laterza Bari
1913 pagine 458

   





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