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      La veritá si è che il batter moneta è la piú bella e la piú nobile prerogativa del principato, perché con quella si diffonde per il mondo durante sua vita, e resta dopo morte, il nome, l'effigie e la memoria della grandezza ed autoritá sua, delle imprese e de' suoi magnanimi pensieri, di che sogliono dar contrasegno i rovesci: onde quelli, che ne godono il privilegio, non devono defraudar se stessi di questa gloria. Ma non bisogna pensar di goder di una sí bella marca d'onore senza pagarla, e molto manco si deve credere di poterne cavar profitto di borsa: nel che s'ingannano tutti que' principi che, altrimenti credendo, vanno in traccia del guadagno di zecca, ma, per poco lucro palese, fanno occulte, ma gravissime piaghe nelle sue entrate; perché, se non hanno miniere proprie o se non hanno traffico grandissimo, che porti loro abbondante la materia dagli Stati alieni, non vi troveranno mai profitto, se non a costo dell'alzamento delle monete, che cangia alfine il profitto in pregiudizi maggiori. Anzi, se si vagliono di monete forestiere per disfarle, non vi ponno aver utile, se non quando que' principi, che le battono, le battessero con proprio danno; e, se altri principi accettassero le nostre a maggior prezzo del loro valore, e' ne portano via in contracambio oro od argento d'Italia di valuta maggiore. Anzi, chi ben considera, que' principi, che si vagliono ben anche delle paste estratte dalle proprie miniere, non ci guadagnano altro che il comodo di rendere spendibile quel metallo, che in pezzi rotti non averá sí pronto il commercio.


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Economisti del cinque e seicento
di Gasparo Scaruffi - Antonio Serra - Germinio Montanari - Augusto Graziani
Editore Laterza Bari
1913 pagine 458

   





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