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      Né lasciarono dove eglino et in Roma e fuori in campagna, non vedessino e non misurassino tutto quello che potevano avere che fusse buono. Era Filip,po sciolto da le cure familiari e, datosi in preda agli studii, non si curava di suo mangiare o dormire, solo l'intento suo era l'architettura, che già era spenta, dico gli ordini antichi buoni e non la todesca e barbara, quale molto si usava nel suo tempo. Et aveva in sé duoi concetti grandissimi: l'uno era il tornare a luce la buona architettura, credendo egli, ritrovandola, non lasciare manco memoria di sé che fatto si aveva Cimabue e Giotto; l'altro di trovar modo, se e' si potesse, a voltare la cupola di Santa Maria del Fiore di Fiorenza. Le dificultà della quale avevano fatto sí che, dopo la morte di Arnolfo Todesco, non ci era stato mai nessuno che li bastassi l'animo, senza grandissima spesa d'armadure di legname, potere volgere quella. Non conferí però mai questa sua immaginazione a Donato né ad anima viva; né restò che in Roma tutte le difficultà che sono nella Ritonda egli non considerasse, sí come si poteva voltare. Tutte le volte nello antico aveva notato e disegnato, e sopra ciò del continuo studiava. E se per avventura eglino avessino trovato sotterrati pezzi di capitelli, colonne, cornici e basamenti di edifizii, eglino mettevano opere e facevano cavare, per toccare il fondo. Per il che si era sparsa una voce per Roma, quando eglino passavano per le strade, che andavano vestiti a caso, gli chiamavano quelli del tesoro, credendo i popoli ch'e' fussino persone che attendessino alla geomanzia per ritrovare tesori.


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Le vite de' più eccellenti architetti pittori et scultori italiani da Cimabue insino a' tempi nostri.
di Giorgio Vasari
1550 pagine 1014

   





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