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      Aveva Andrea quando e' morí anni LVI. E dolse la morte sua infinitamente a gli amici et a' suoi discepoli che non erano pochi, e massimamente a Nanni Grosso scultore, persona molto astratta e nella arte e nel vivere. Dicesi di costui, che e' non arebbe lavorato fuori di bottega, o a' monaci o frati, se e' non avesse avuto per ponte l'uscio della volta, per potere andare a bere a sua posta e senza licenzia. Lavorava malvolentieri e per ogni piccola alterazione si faceva portare a lo spedale, e quivi si stava sino a che e' fusse guarito in tutto. E fra l'altre, essendo egli una volta tornato sano d'una sua infermità, gli amici che lo visitavano, lo dimandorono come egli stava, e rispondendo egli: "Male", gli soggiunsero: "Tu sei pur guarito"; "E però sto io male - replicò egli - imperò che io arei bisogno d'un poco di febbre, per potermi intrattenere qui agiato e servito". Costui venendo a morte nello spedale, e vedendosi posto innanzi un Crocifisso di legno assai goffo, pregò che lo levassino via e ve ne mettessino uno di mano di Donato, affermando che se e' non lo levavano, si morrebbe disperato, tanto era lo amore che e' portava alla arte.
      Ma per tornare ad Andrea, le sue cose rimasero a Lorenzo di Credi discepolo et amico suo carissimo, e l'ossa ricondotte da Venezia, furono sepellite nella chiesa di Santo Ambruogio nella sepoltura di Ser Michele di Cione, dove sopra la lapida sono intagliate queste lettere: ,
     
      SER MICHAELIS DE CIONIS ET SVORVM. HIC OSSA IACENT ANDREAE VERROCCHII, QVI OBIIT VENETIIS MCCCCLXXXVIII.


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Le vite de' più eccellenti architetti pittori et scultori italiani da Cimabue insino a' tempi nostri.
di Giorgio Vasari
1550 pagine 1014

   





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