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      Alle quali insinuazioni non aveva allora prestato orecchio, sperando di indurre a migliore e più grato consiglio i tre confederati. Ma quando dalle risposte date ebbesi certezza dell’indegno mercato, si cominciò a trattare la cosa nel consiglietto, che era il minore consiglio politico dello Stato.
      La materia era di somma importanza per Genova; si trattava di entrare o no in una guerra contro potenti nazioni, con pericolo di pagarne un troppo doloroso scotto. Alcuni consideravano fiorire la Repubblica pel commercio e per le pacifiche arti, che hanno amica la pace e nimicissima la guerra; vedersi sempre incerto l’esito delle armi, e se i Borboni avessero la peggio, quali sarebbero i destini dell’imprudente Genova? Pace convenirsi a chi non può far guerra da solo, a chi per eseguità delle forze debba essere secondo o terzo nella partita.
      È fatto; lo abbiamo provato nel 1859, e tutto dì lo proviamo, che il vantaggio ricavato dalle alleanze colle potenze maggiori non è il più lusinghiero. O il maggiore alleato è vincitore, allora il minore è a sua discrezione e deve soggiacere a tutti quei patti od a tutte quelle umiliazioni che gli sono dopo la vittoria imposti; o è perdente, più dannosa pel minore è la conseguenza della sconfitta.
      Quei della parte contraria rispondevano sopravvenire nella vita degli Stati congiunture straordinarie che li spingono, se non vogliono perire, a pigliare vie nuove e non consentanee alla cheta prudenza. L’ambizione di casa Savoia tirarla ai danni della Repubblica, sicchè pessimo evento sarebbe stato l’avere il re di Sardegna accampato da padrone sul prossimo marchesato di Finale.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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