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      Mandarono cinque mila soldati al Finale, duemila a Savona; fecero rompere le strade che portavano al Piemonte, munire con serraglie tutti i passi pe’ quali rimaneva aperto l’adito ai Sardi; e aspettarono la tempesta che non doveva tardare a scagliarsi su loro violentissima se non improvvisa.
      Le voci di guerra, il rumore dei cannoni che si trainavano or qua, ora là, i soldati, che s’ingrossavano, e mutavano le stanze, avevano molto sollevato gli animi in Genova, e fatti solleciti e pensosi delle cose avvenire. S’aggiunsero portenti. Un sacerdote, celebrando la messa all’altare di San Giovanni Battista nella metropolitana, vide per ben tre volte, come corse fama, scuotersi il tabernacolo con grande ammirazione dei circostanti. Chiamati i preti e i sacristani videro e paventarono; sparsasi la voce dell’accidente, tutta la città rimase compresa da stupore e da terrore, funesto annunzio dei mali della Repubblica. Il terrore e l’ubbia popolare accrebbe una cometa crinita con coda a modo di scopa, che in sullo scorcio del gennaio era sopra la città comparsa, facendovi per un mese intero terribile mostra di sè. Non sapevano quali, ma certo i Genovesi si aspettavano mortali disgrazie.
      I presi auguri cominciavano a verificarsi per le insolenze inglesi. L’ammiraglio Mathews, come se non sapesse del turpe mercato e come se gli innocenti dovessero lasciarsi spogliare senza neppure muovere dito o mettere fuori voce, scrisse con modo altero alla Signorìa, che non conoscendo nessun nemico a Genova, non sapeva capire perchè armasse e che quell’attelarsi in guerra gli dava sospetto.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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