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      Il Senato rispose che Genova non armava per altro che per fare rispettare la sua neutralità, e non per dipartirsene; che il trattato di Vormanzia le aveva insegnato quanto fosse pericoloso lo stare inerme; che gli apparecchi guerreschi non miravano ad altro che al rendersi sicura dagli insulti di chi le portava mal animo. La sincerissima risposta spiacque all’Inglese; esso quindi metteva ad abusare della sua forza. Sotto colore di chiudere il mare ai soccorsi spagnuoli, predava le navi genovesi, insultava i littorali, e talfiata, quasi a sollazzo, gettava bombe nelle innocenti città.
      Genova tra la Sardegna e l’Inghilterra non aveva riposo. Presto vedremo venire l’Austria a sobbissarla.
     
      III.
     
      Non fu che nel 1745 che Genova si risolse di chiarire le sue intenzioni e palesare al mondo gli accordi di Aranjuez. In sulla fine di giugno di quell’anno mandò fuori un manifesto col quale esponeva i danni che a lei derivavano dal trattato di Vormanzia, le inutili diligenze fatte per ischivarne le funeste conseguenze e la necessità in cui si trovava di unire un corpo delle sue truppe in qualità di ausiliarie a quelle dei Borboni e di fornirle di artiglieria, unico partito, diceva, a lei rimasto per preservarsi da quelle rovine, che le sovrastavano.
      Poco dopo tal manifesto la Repubblica mandava agli alleati gallo-ispani, che si trovavano attendati tra il Panaro e la Magra, i diecimila soldati promessi, cui diedero in governo, come commissario supremo, al patrizio Gianfrancesco Brignole Sale, e, come generale, al conte di Cecil.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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