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      E don Filippo e quanti generali alla presenza di lui si trovavano risposero con bellissime parole, che stessero pure i Genovesi di buon animo e sperassero bene della patria loro, perchè Francia e Spagna non avrebbero potuto in tanto momento abbandonare la fedele Repubblica. Parlarono di provvedimenti di guerra, d’un campo a Fegino sulla destra sponda della Polcevera.
      I fatti dimostrarono quanto fraudolenti fossero quelle parole. Se per necessità militare era cosa tollerabile il lasciare nel fondo dell’abisso chi ci si era messo per colpa altrui, cosa intollerabile e sozza doveva reputarsi l’aggiungere l’inganno al danno, e il nutrire in uomini amici una speranza per cui dovevano, conosciuta tosto l’orribile verità, rimanere doppiamente affannosi e tormentati.
      Mentre i capi borboniani le promesse riferite facevano, le truppe difilavano verso ponente, e ponevano su barche gli arnesi e le armi. Seppesi subito dopo come don Filippo già se ne fosse partito per la via di mare alla volta di Nizza, e ogni cosa fosse in moto per una totale partenza. Pretessevano i capi borboniani non sappiano quali fole: che il re di Sardegna infuriava verso Cadibuona, e minacciava Savona e Finale, come se coll’esercito ancora numeroso e coi soldati della Repubblica e colla gente del paese, nemicissima del nome savoiardo, non si fossero potuti facilmente custodire quei luoghi già di per sè stessi forti e guarentissimi.
      L’Italia stupì della partenza de’ Borboniani; non poteva comprendere come tanto loro fracasso fosse finito in Signorìa austriaca.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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