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      Tali intimazioni vennero accolte dai deputati con orrore e dolore. Il Botta ciò scorgendo disse: « Dovete rimanermi obbligati che vi apro la strada da poter riscattare la libertà e la vita, le quali se non vi tolgo, vi sia d’argomento, che nè d’umanità sono spoglio, nè dimentico di quella patria che chiamate mia. Se poi ad alcuno gravi ed acerbe condizioni parranno, costui pensi, quanto più grave ed acerbo sarebbe il vedersi sforzare le case, involare le sostanze, trarre in servitù, e ferro e fuoco e sacco sofferire, ed ogni più dura cosa sostenere di quelle, con cui i vincitori sogliono i vinti ricalcitranti punire. »
      Lomellini e Durazzo si provarono nuovamente a condurre a più miti sensi l’animo del Botta. Dissero dell’impossibilità di eseguire le imposte cose; come nel breve tempo prescritto non potessero i consigli deliberare, essendo statuito dalle leggi della Repubblica che quando si trattava di cose gravi, come quell’era, nulla si dovesse nello stesso giorno deliberare.
      L’Italiano, fatto austriaco, per niente commosso, rispose, non esservi più altra legge che la sua volontà, e le condizioni eseguissero perchè così voleva.
      La mezza notte era già scorsa, quando fu posto fine al tremendo colloquio. I deputati s’affrettarono a rapportare al doge le parole di Botta. Si convocò in ora straordinaria il consiglio; vi si trattò dell’inesorabile volontà dell’inumano generale. Genova avrebbe avuto d’uopo in que’ supremi momenti d’uomini energici, di quegli uomini che a difesa della libertà, anzichè tergersi colle mani gli occhi bagnati di pianto, non istanno un istante in forse ad armare la mano d’un ferro ed a chiamare il popolo tutto contro il nemico.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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