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      Comechè egli si fosse avveduto che la fortuna di Genova andava cadendo in disperazione, da nessuna parte gli si aprisse speranza di soccorso, intento solamente al suo dovere, aveva risposto alle chiamate di dedizione che gli erano state fatte, che la Repubblica gli aveva dato in guardia la fortezza e alla Repubblica la voleva conservare.
      Nacque da una tale opposizione un caso per parte degli Anglo-Austriaci, cui non sappiamo classificare se più iniquo o più ridicolo. Gli Inglesi, vilmente torcendo a danno del più debole il senso dell’articolo della intimazione del Botta, in cui era detto che i Genovesi non potessero commettere ostilità contro gli Austriaci e loro alleati, pretendevano che Agostino Adorno non dovesse in modo veruno sturbare i Piemontesi nelle opere che facevano contro la piazza di Savona, come se i Genovesi fossero obbligati a lasciarsi uccidere senza la menoma resistenza.
      Il misero Adorno, mosso o da una fede eccessiva nei patti, o da una prepotenza, di cui non poteva conoscere, se ricusasse, gli effetti contro l’infelice sua patria, frenò la destra, e fece tacere i cannoni. I Piemontesi poterono farsi avanti a loro bell’agio nei lavori della per loro non difficile ossidione; imperocchè procedevano contro chi non voleva difendersi per rispetto ai patti stipulati, o per timore d’una incredibile prepotenza.
      Quando poi le trincee, e le alzate, e le scavate, e gli spinapesci, e i gabbioni, e le fasciature, ed altre simili invenzioni di guerra furono condotte a compimento, senza che il castello dêsse segno, i Piemontesi cominciarono molto furiosamente a bersagliarlo con palle e bombe.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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