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      Di tale invasione ebbe a soffrirne anco l’infelice Genova; imperocchè, avendo gli Austro-Sardi trovato il paese invaso spoglio affatto di viveri, da quella città traevano le provvigioni, il che la metteva in augustie tali da non potersi adequatamente descrivere. Oltre a ciò abbisognando gli aggressori di grosse artiglierie per battere le piazze forti, ed innanzi a tutte quella di Antibo, nè essendo riuscibile a Carlo Emanuele di far venire le sue in numero sufficiente per le difficoltà che un anticipato inverno aveva arrecato alle strade, decisero di servirsi di quelle di Genova; per cui scrisse al Botta che le mandasse. Il generale austriaco ne fece istanza alla Signorìa con qualche dolcezza di parole; ma però con minaccia che se non le dêsse le avrebbe prese da sè. Ebbe per risposta che la Repubblica non poteva concedere ai danni altrui quelle artiglierie che alla sua difesa soltanto erano destinate; che del rimanente essa non aveva mezzi per opporsi alla forza, qualora si fosse voluto con violenza levarle.
      Forte risposta, che dimostrò non avere ancora l’estrema sventura del tutto accasciati gli animi dei patrizi genovesi.
      Botta, veduto come fosse mestieri fare da sè, andava nell’arsenale visitando i depositi delle artiglierie, dei mortai e degli attrezzi, come pure i cannoni che in più felici tempi erano stati in sulle mura piantati a difesa della patria. Questo e quel pezzo sceglieva; e già aveva dato principio a trasportarli alla volta della Lanterna, donde intendeva inviarli sulle navi a Carlo Emanuele, il che fu presto cagione di quel furore di popolo che or ora narreremo.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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