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      S’accostavano alle botteghe per comperare generi; facevano o pesare, o versare, o tagliare ciò che loro piaceva, eppoi pagavano come saltava loro pel capo, senza riguardo di giustizia e di onestà, adoperando persino il bastone contro que’ meschini che prontamente non soddisfacessero alle loro richieste.
      I deputati Grimaldi e Fieschi lamentavansi a nome della città col Botta delle insoffribili violenze. Il Tedesco rispondeva stringendosi nelle spalle, e dicendo, che quella era guerra, e che pure, ripetè, avevano i Genovesi gli occhi per piangere.
      La giustizia era sospesa, i magistrati più non esercitavano gli uffici. Offendeva massimamente gli occhi del popolo il vedere il doge, l’uomo in cui era raccolta tutta la dignità della Repubblica, e che allora era Gianfrancesco Brignole Sale, chiaro per virtù e per costanza pari alla disgrazia, uscirsene senza onore di palazzo, mentre al tempo lieto sempre l’accompagnavano e la comitiva del grado ed i soldati attenti a fargli onoranza. Ciò era forse arte in Gianfrancesco, oppure dolore, o rispetto verso le pubbliche calamità. Se non che il popolo l’attribuiva a proibizione dell’Austriaco, e d’infinito sdegno se n’infiammava.
     
      VII
     
      Chotek andava intanto domandando il pagamento del secondo milione di genovine, e minacciava se non fosse eseguito, sacco, ferro e fuoco. All’avara e feroce intimazione Grimaldi e Fieschi andarono dal Botta, lamentandosi della gravezza della domanda e dimostrando l’impossibilità di soddisfarla. Ma tanto il generale, quanto il commissario avevano l’animo indurato ai patimenti degli infelici.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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