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      Nonostante i segni del nembo che s’aggirava in aria, Botta continuava nella sua ostinazione, quasi che Iddio pel castigo degli oppressori gli avesse tolto l’intelletto. Chotek, con quella sua avidità dell’oro, non sapeva alla sua volta quello che si facesse; solo andava gridando: danaro, danaro, date qua danaro!...
      E tra i cannoni e il danaro scese tremenda la vendetta di quel Dio, che i potenti atterra e gli umili solleva.
      Era il 5 dicembre 1746. Il pallido sole d’una bella giornata d’inverno brillava allegro e puro su d’un limpido, azzurro cielo. Il mare increspato lene lene dalla tramontana pareva andasse a ritroso, ed era appena se una lama sottile di candida spuma si frastagliasse fremendo in sulla riva.
      Genova da tempo non era paruta così bella; il suo popolo stesso sembrava vivificato, ritornato ai bei giorni gloriosi della Repubblica.
      Il dì era trascorso senza fatto di qualche importanza. In sulla sera una mano di Austriaci, pel quartiere di Portoria, veniva trascinando colle funi un pesante mortaio da bombe, quando ad un tratto, sfondatasi la strada sotto l’immane peso del bronzo, rimase incagliato il trasporto. Invano i soldati s’erano affannati e colle corde e colle stanghe a sollevare l’affondato mortaio, invano avevano chiesto aiuto al popolo, che, in cerchio, man mano s’era venuto agglomerando dattorno ai Tedeschi, e ghignava alle barbariche loro bestemmie.
      Un giovanetto, il figlio di un povero pescatore, bello della persona e con occhi vivacissimi, stava in fondo alla via contemplando quel tramestio, e pareva che la vampa di tutto un odio gli salisse al capo.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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