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      — Oh! i maledetti! sclamò d’un tratto. Ci rubano ogni cosa costoro; e non vi saranno genovesi mani che sorgano a vendicare l’oltraggio?
      — Aiutati che ti aiuterò, son parole di Dio, rispose un vecchio popolano, che era a lui vicino.
      — Miseri noi! miseri noi!... suonò una voce di donna, miseri noi! che solamente ci rimangono gli occhi per piangere.
      — E mani per combattere, no?...
      In così dire il giovanetto s’era venuto avvicinando a pochi passi dalla soldatesca, che rabbiosamente lottava per vincere la resistenza del mortaio.
      — Per Iddio! urlò il sergente nel suo gergo barbaresco; per Iddio! razza di scalzacani che siete, date una mano qua!...
      L’opera era infame. Nessuno si mosse. Anzi la cerchia del popolo indietreggiò; tutti abborrivano dall’empio ufficio.
      — Sollevatelo voi altri stessi se potete, che vi colga il fistolo! risposero cento voci alla stolta pretesa degli Austriaci.
      I soldati, che non s’immaginavano punto qual grossa piena mandassero gl’indomiti cuori de’ Genovesi, si decisero ad usare il bastone contro alcuni popolani per obbligarli.
      Un immenso grido di dolore e di rabbia, un fremito di furore e di vendetta sorsero come il mugghio d’un mare in tempesta. L’argine si ruppe, e cento e cento mani si levarono pronte a respingere la prepotenza colla forza.
      Il giovanetto si trovò come alla testa di quella bufera. Cavato il logoro saio, e rimasto smanicato alla foggia popolaresca, mostrò le belle, giovanili sue forme, dove l’Ercole e l’Apollo si confondevano nel plastico atteggiamento della minaccia.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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