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      Misurata la distanza con occhio pieno di lagrime, furioso volse il capo alla folla che stava dietro a lui, si chinò rapidamente, e colla destra dato di piglio ad uno sasso: Che l’inse! sclamò, e lo trasse. Il sasso scagliato corse a percuotere nel capo uno dei percussori, che stramazzò.
      Che l’inse! parola che in quel tronco ed energico dialetto genovese significa presso a poco: «Io la rompo, la finisco, più non mi tengo.
      — Che l’inse! Che l’inse! Bravo Balilla, viva Balilla! chè tale era il nome del fanciullo, dappertutto si udì a gridare.
      Ed ecco sorgere una sassajuola così furiosa da tutte bande contro que’ luridi soldati, mandati a pericolosa bisogna dallo stolido marchese Botta, i quali stimarono che fosse bene di dare indietro più che di passo.
      Gli Austriaci, vergognosi della fuga, o rinfrancati gli spiriti da chi li comandava, tornarono indietro colle spade sfoderate, persuadendosi che a quell’atto il popolo avrebbe tremato molto e sgombrato il terreno. Ma ecco invece che dessi dovettero di nuovo indietreggiare accolti dai fieri Genovesi con un’altra pioggia di sassate peggiore della prima.
      Il drappello, accortosi che quello non era più luogo da starci, a passo di corsa, tutto pesto, sanguinoso, si diresse verso la caserma. Il benaugoroso mortaio se ne stette affondato in Portoria; i ragazzi, come per festa e per vittoria, salivano su quel trofeo, che doveva essere piedestallo di libertà, mentre il popolo ne godeva.
      Gli stranieri erano fuggiti all’ira prorompente del popolo, e ormai il fiotto saliva come i cavalloni dell’Oceano, quando il turbine li sospinge colla misteriosa prepotenza dei venti.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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