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      I sopracciò ricusarono sempre. Indignati i reclamanti cominciarono a mormorare contro i reggitori dello Stato, malgrado del solito rispetto che ognuno nutriva per loro.
      Fra la notte tempestosa e piena di pioggie e di tenebre, e la stanchezza dei cittadini, e l’incertezza con cui i non bene conosciuti capi comandavano, la folla mano mano si sparpagliò, ritraendosi ognuno alla fine a casa sua. Era un bisbiglio, uno strepito, un bussare e un aprir di porte, un apparire e uno sparire di lucerne, un interrogare di donne dalle finestre, un rispondere dalle vie. Tornate queste deserte e tacite, i discorsi continuarono nelle case, e non morirono certamente negli sbadigli; chè gli animi de’ Genovesi erano di troppo concitati.
     
      I reggitori del governo, temendo che dal moto popolare potesse derivare un gran male, mandarono al Botta il patrizio Nicolò Giovio coll’incarico d’informare quel generale dello scompiglio, d’avvertirlo dell’imprudente contegno dei conduttori del mortaio, di pregarlo a desistere dal pensiero di più farlo trasportare, se pur desiderava che il popolo si rimettesse in calma, e non sorgesse qualche strano accidente. Vollero che il Giovio gli mettesse in considerazione essere impossibile a porre termine alla vendetta di molti, quando sono accesi dallo sdegno. Il rinnegato Italiano rispose al messo che non temeva punto del popolaccio, che avrebbe nella seguente mattina mandata per prendere il mortaio altra soldatesca, condotta da prudente ufficiale per evitare scandali. Giovio ripregò, dimostrò come maggiori sconcerti succederebbero, ove ancora si toccasse allo sprofondato bronzo.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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