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      » Ma o per paura di sconcerti maggiori, o per fede nei disonorevoli patti, nol vollero fare. E quasi quella loro negativa volessero mitigare in faccia al Botta, vigliaccamente mandarono ordini ai due capitani delle valli di Bisagno e di Polcevera che tenessero quiete quelle popolazioni, e comminassero la pena della galera a chiunque prendesse le armi.
      Il marchese Alessandro Botta, fratello primogenito del generale, provando increscimento dell’eccidio della nobile città e che il fratello si tirasse addosso il carico d’uomo crudele e spietato, presentavasi a lui, cercando di ammollirne il duro cuore. Anco il principe Doria, pietosissimo inverso la patria, in compagnia del padre Porro, teatino, recavasi dal generale, esponendogli le domande del popolo, e dimostrandogli come difficile cosa fosse il domarlo, pericoloso il cimento, in forse la riputazione delle armi austriache. Per parte della Repubblica vi andava il patrizio Agostino Lomellini. Infine per patria carità traeva dal generale pure il gesuita Visetti. Si convenne un armistizio di alcune ore, domandato dal nemico con innalzare bandiera bianca al posto dei Filippini. Botta il faceva con arte, e dava intrattenimento di parole, perchè aspettava i rinforzi di soldatesche. Il popolo accettò per meglio armarsi. Le pratiche fra il generale e i deputati e gl’intercessori della Repubblica, riducevansi in ciò che il primo acconsentiva ad abbandonare porta a San Tomaso, ma non quella della Lanterna, mentre i Genovesi le volevano ambidue, e di più che gli Austriaci intieramente sgombrassero dalla città. Botta mostravasi assai cocciuto; per cui Doria, disperando della concordia, sdegnoso erasene fuggito dalle conferenze, e andava dicendo al popolo: «Il Botta ha la testa dura, ed il popolo più del Botta.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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