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      Il padre Visetti, desiderosissimo di aggiustare le discrepanze, aveva nuovamente visitato il generale nemico, notiziandogli che al popolo si erano uniti i cittadini d’ogni condizione, e che tutti erano risoluti di vincere o di morire per la libertà della patria. Il Botta rispose che avrebbe date le porte. Ma fu inganno; chè già il cannone nemico rimbombava, e scuoteva le falde del travagliato Appennino. Genovesi contro Austriaci, Austriaci contro Genovesi, già si erano di nuovo avventati, e ciascun faceva l’estremo di sua possa per vincere.
      A quel fiero spettacolo, quanti animo pietoso avevano, preci innalzavano al Dio delle vittorie, affinchè rendesse felice la causa di un popolo, che era sorto a difesa della propria libertà.
      Furibondi correvano i popolani contro l’odiato oppressore, quando incontrossi in loro il padre Visetti. Tra l’affanno, la meraviglia, la speranza, la disperazione, egli disse che il generale Botta acconsentiva al rilascio delle porte.
      «Non è più tempo, rispose con voce tremenda il popolo; non vogliamo limosine, vogliamo guerra!»
      Il gesuita allora soggiunse: «Ho fatto quanto ho potuto; aiutatevi, aiutatevi, non vi è più rimedio!»
      E i Genovesi si aiutavano veramente.
     
      X.
     
      Era il giorno dieci dicembre. La pugna ferveva. S’udivano rimbombare i cannoni da ogni parte, strepitare gli archibugi, alzarsi grida teutoniche contro le italiane, e grida italiane contro le teutoniche; frastuono reso più orribile dal continuo martellare d’ogni campanile. Il Santissimo Sacramento era esposto in tutte le chiese; le vergini, le donne, ogni fievole per infermità e per età stavano prostrati innanzi agli altari, impetranti la benedizione di Dio sulle armi del popolo.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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