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      Alcuni preti e frati salmeggiavano nei loro cupi cori, e quelle divote e dimesse voci indicavano come in quel momento stesso si giudicasse una gran causa. Altri preti e frati, in lunghe file schierati, e seguiti da stuoli di dame scalze e dolorose, recavansi per le vie recitando il rosario, e mandando preci a Maria protettrice di Genova. Altri, infine, mescolatisi col popolo, col Crocifisso in una mano, lo schioppo nell’altra, precipitavansi ove più terribile era la mischia, e si facevano animatori di guerra e del pari combattenti.
      I dolci volti dei preganti, accanto ai volti severi degli andanti alla pugna presentavano in un tempo solo quanto la umanità ha di più tenero, di più venerando, di più tremendo.
     
      Settecento Austriaci erano alloggiati in Bisagno, e si sforzavano di entrare in città per la porta Romana. I Bisagnini diedero loro addosso alle spalle; i Vicentini, gli abitatori cioè del quartiere di San Vincenzo che sta dicontro a quella porta, li presero da fronte; nel tempo stesso che i popolani, impadronitisi della batteria di Santa Chiara, per di sopra li fulminarono. Micidiale ed ostinato fu il combattimento, del quale rimase il popolo vincitore.
      Cinquanta granatieri, riparatisi in una osteria, non volevano cedere alla forza, che d’ogni intorno li circondava. Essi si difendevano gagliardamente; lo snidarli pareva impossibile. Balilla, che sempre era là ove maggiore era il pericolo, saputa la cosa, accorreva seguìto da altro ragazzo di dieci in undici anni per soprannome Pittamuli.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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