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      Passato ogni pericolo, le porte dei palazzi dei nobili si aprirono, e fuori ne uscirono i loro paggi, staffieri e servitori d’ogni fatta, i quali, lasciata la custodia dei padroni, accorrevano al bottino che i popolani stavano facendo nelle case e nei magazzeni precipitosamente abbandonati dal nemico; indi, seguendo i popolani stessi, i quali non sappiamo perchè non cacciassero lungi da loro quella bordaglia che s’era cansata al pericolo, con essi gridando Viva Maria! s’intrusero nel sacco delle case abitate dagli Austriaci in San Pier d’Arena, dividendo così i frutti delle altrui fatiche. Bandiere, tamburi, viveri, armi, munizioni, carri, calessi, carrozze, utensili, mobili d’ogni sorta, quanto l’avarizia aveva raccolto, quanto la paura aveva lasciato, quanto alla guerra serviva, od al vitto, od al piacere dei cacciati tiranni, tutto divenne preda di quel popolo che prima col valore si era vendicato, ed ora colle spoglie si confortava.
      I fatti di Genova risuonarono con onore ovunque erano uomini generosi. Fortezza e amor di patria mai si erano accoppiati più fraternamente. Rimase sempre più provato come le giuste cause sieno dal cielo benedette, e come non senza pericolo si possano torturare e spolpare i popoli. Di sommo momento poi ne furono le conseguenze pei principi in guerra; imperocchè dall’improvvisa alzata di Genova ne venne la salute di quelli che perdevano, e la perdita di quelli che vincevano.
     
      XII.
     
      Genova continuava a reggersi a popolo. Il quartier generale era tuttodì nel collegio dei gesuiti in via Balbi: da quivi partivano tutti gli ordini.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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