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      I capi eletti pensavano alla quiete, alle armi, all’annona; ordinavano quanto potesse tornare utile al paese. Rinnovarono le proibizioni rigorose contro i ladri e fautori di scandali, e per far loro vedere che non era da burla, piantarono nel bel mezzo della piazza dell’Annunciata le forche, e guai a chi ci avesse provato. Mandarono le navi più leggiere e spedite pei mari vicini, affinchè, sguizzando fra le navi inglesi, che opprimere volevano ed affamare un popolo libero, recassero in porto le vettovaglie. Diedero pur opera alle fortificazioni, ed a ridurre in regolari compagnie il popolo armato. Non isfuggiva loro come Maria Teresa e Carlo Emanuele, tanto più nemici, quanto più irritati, non avrebbero omesso di tornare a tribolare chi con sì terribile slancio avevali scacciati lontano da sè.
      Infatti quando l’austriaca Imperatrice venne a sapere il caso di Genova, si trasportò a grandissimo sdegno, e, senza porre tempo in mezzo, mandò ordine allo Spinola, ministro della Repubblica, al quale aveva già proibito di comparirle dinnanzi, che sgombrasse tostamente da ogni terra austriaca. Nuova gente fece calare in Lombardia: Croati, Varadini, Austriaci, Boemi, Ungari, e quanti altri mai barbari aveva nel suo esercito, minacciando tutta l’ira sua alla Repubblica. Gli ostaggi genovesi, il Sauli, il Cattaneo, il Veneroso e il Rivarola, che Milano avevano per confine, furono rinchiusi e gelosamente custoditi nel castello.
      I popolani stavano con non poca apprensione pel castello di Savona, il quale, come più sopra raccontammo, era cinto dalle armi piemontesi, che con estremo vigore ne battevano le mura.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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