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      Le cose erano quasi condotte a termine, rotte quasi le muraglie e praticabile la breccia: poco tempo ancora la fortezza poteva durare. Soltanto sostenevala l’egregio valore dell’Adorno; il quale, non punto indispettito che il governo dai patrizi suoi compagni fosse passato al popolo, continuava a difendersi colla medesima fede, come se la Signorìa non fosse cambiata; raro esempio di temperanza e di cittadina bontà, e tanto più commendevole in un patrizio genovese.
      Conosciuto l’imminente pericolo del forte di Savona, il quartier generale mise fuori un bando per adunare gente, ed inviarla al soccorso dell’Adorno. Assai uomini raccolse, ma, ad eccezione di pochi regolari, sì di soldatesca antica come di popolo, erano marmaglia atta piú a rubare che al combattere. Infatti giunta appena quella gente raccogliticcia in San Pier d’Arena, e quivi scoperto un magazzino di sale che agli Austriaci aveva appartenuto, si diede a farne bottino. La scoperta di quel magazzino, facendole subodorare che ve ne fossero altri, si sbandò, e Savona indarno attese il sospirato soccorso. Il dieciannove dicembre Adorno dovette arrendersi alle armi dei Piemontesi, ricevendo la guarnigione tutti gli onori militari, in riconoscenza del valore da lei dimostrato nel difendersi. Fu specialmente dal Rocca molto lodato l’Adorno per la sua virtù di guerra e pel suo amore al paese.
      Erano intanto in Genova sempre due governi, uno di diritto che non faceva niente, cioè quello dell’antica Signorìa, l’altro di fatto, che faceva tutto, cioè quello del popolo.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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