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      Il popolo aveva verso i due colpevoli tanti obblighi per la loro instancabile opera alla ricuperazione della libertà, tuttavia fremette di sdegno. Assereto e Bava tentarono fuggire innanzi all’aspetto minaccevole del popolo, il quale, vieppiù infuriato per quel tentativo, li cacciò in prigione, con quasi tutti gli altri primi capi.
      Infrattanto i patrizi stavano in sulle velette. Godevano delle dissezioni. Sapevano che il popolo, solito a darsi della zappa sui piedi, sarebbe da per sè medesimo tornato a loro. Infatti fra le accuse date, vere o false che si fossero, cominciò a rinascere nel cuore dei popolani il desiderio dei personaggi dell’antico reggimento. Una rappresentanza del popolo andò dai due senatori Piermaria Canevari e Girolamo Serra, e per forza li condusse al quartier generale dicendo: «Vi vogliamo come galantuomini alla testa del nostro governo.» Questo fu un primo appicco per la nobiltà, e come un capo di fune che tirò con sè il restante. Più tardi furono chiamati a consultare coi due senatori altri nobili.
      Intanto le arti si erano ordinate in compagnie per parrocchie, ciascuna colla propria divisa; era un grato spettacolo quando si univano ed armeggiavano. Le quattro compagnie di castello elessero per loro colonnello il doge e per cappellano l’arcivescovo. In esse si arrolarono indistintamente i patrizi in qualità di semplici soldati o di ufficiali, cercando con zelo presente di far dimenticare la debolezza passata. La compagnia denominata dei cadetti fu la prima ad innalzare nel cortile del palazzo le antiche insegne della Repubblica, il che fu tosto imitato dalle altre; grande avviamento quello all’antica consuetudine.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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