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      Se ivi giungevano ad annidarsi gli Austriaci, le fortificazioni esteriori divenivano pei Genovesi inutili. Il nemico si sarebbe facilmente insinuato fra le fortificazioni medesime e le mura del recinto, e, avvicinatosi così al Bisagno, avrebbe potuto e battere coi cannoni le mure e lanciare bombe nella città. Il sapeva Schulembourg; e a tutt’uomo vi si sforzò.
      Nel convento della Madonna del Monte eravi il marchese di Leyde, spagnuolo, il quale, vedendo venire alla sua volta tanta moltitudine di nemici, e considerando la debolezza delle trincee, che lo cingevano, aveva fatto pensiero di ritirarsi e già, ottenutone il consentimento di Boufflers, si ritirava. Se non che il maresciallo di campo Sickel, svizzero, al soldo di Genova, insistette con sì efficaci parole sulla necessità di conservare quel posto, se pur si voleva che la Repubblica trionfasse, che Boufflers mandò ordine si difendesse ad ogni costo. Leyde, compreso che se si allontanava la vittoria per fermo sarebbe pegli Austriaci, i quali ferocemente venivano all’assalto, tornò prestamente indietro, ed appiccò la zuffa, e nel fatale cimento, accorsero e si mescolarono villani, popolo e borghesi.
      Crudele e lunga fu la battaglia. Finalmente fra il resistere unito di tanti, si rallentò l’impeto dei nemici, i quali, lasciando sul campo circa duemila tra morti e feriti, ritiraronsi nei loro alloggiamenti di Camaldoli e di Quezzi. Fra i morti si numeravano il marchese Clerici e quattro colonnelli. Gli Austriaci, scesi più abbasso, avevano anco tentato le trincee di San Francesco d’Albaro, ma pur quivi senza frutto.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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