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      E il popolo genovese aveva ben ragione di andar glorioso. Senza di esso Genova sarebbe stata sotto il giogo austriaco chi sa per quanto tempo ancora, angariata, concussa in sino all’estremo. Senza il popolo, il patriziato genovese non avrebbe saputo trovare l’antica energia, stabilire alleanze fruttevoli alla patria. «Che l’inse!» sclamò il popolano Balilla, parole che meglio di lunghi discorsi esprimono la terribile disperazione di un popolo che non poteva più sopportare sul capo la ferrea mano dell’usurpatore; e quel popolo, alla magica pietra lanciata contro i superbi e mal accorti Golia, si accese, insorse e vinse; vinse perchè lo volle con fermo e costante proposito. Le rivoluzioni non si fanno come un atto qualunque della vita individua o sociale. Iddio nella sua giustizia ne decreta il giorno e l’ora. E quando il giorno è sorto, quando l’ora è scoccata, la goccia d’acqua fa traboccare il calice, il sasso lanciato impegnare la guerra, mentre la voce dei secoli grida al mondo: «Lasciate passare la giustizia di Dio». Grido democratico di popolo fu quello di Balilla, allarme di rivoluzione, quello allarme che tuttora minaccevole e tremendo suona alla tirannide e alla prepotenza. Grido magnanimo, che precede la eterna giustizia, che i codardi Eunuchi invano presumono soffocarne il prorompere. Silenzio, vi diciamo coll’inspirata parola di Mameli, silenzio, Eunuchi:
     
      «Stolti, o venduti — credonoGuidar tremando i fati,
      Che il lor terror adorinoI popoli prostrati;
      Della viltà profeti,


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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