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      Senza artiglieria, senza palizzate, senza opere difenditrici, la esitazione non era per fermo da imputarsi negli Italiani subalpini a codardia. Però considerando l’importanza di quella chiave delle piemontesi valli e la brama di far argine coi valorosi corpi alla inondazione nemica, Bricherasco rinnovò su quelle vette alpine il magnanimo proposito dei trecento di Leonida alle Termopili.
      L’ardimento all’assalto fu indicibile. Salivano i Gallo-Ispani di corsa la dirupata via verso il sommo del colle, quantunque ad ogni passo vedessero a cadere morti o feriti de’ compagni, avvegnachè nessun colpo i Piemontesi tiravano che non andasse a segno. Più volte i granatieri di Francia, formanti la prima colonna, ebbero toccato il sommo giogo, e già colle scuri abbattevano le deboli trincee, e già le rovinavano sulla fronte, là dove il conte di San Sebastiano e il cavaliere Caldora, capitani del reggimento delle guardie, sostenevano la battaglia, ma sempre da que’ due valenti furono con gravi perdite risospinti indietro. Le altre due colonne, a destra e a sinistra, non poterono mai avvicinarsi alle trincee, sì per la malagevolezza del cammino, come pel fitto bersaglio che facevano i Piemontesi a palle ed a sassi. Con infinito cordoglio il prode Bellisle vedeva l’indietreggiare de’ suoi. Egli a tutto costo anelava di mettere a fine il suo mandato, pensando all’importanza del fatto, all’onore della Francia, alla fede del fratello, ai discorsi che in Parigi si farebbero se vinto, dopo tanti vanti, da poca gente in mezzo ad ignorate montagne.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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