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      Quivi era stato eretto un grand’arco, tutto a festoni, a bandiere, ad arazzi e ad emblemi, e alla cui sommità era la statua di Balilla in atto di scagliare il sasso fatale. Mano a mano che i drappelli passavano, dove è venerata la pietra del famoso mortaio, si abbassavano su questa i vessilli, ed alzavasi il più generoso e gagliardo evviva che mai puossi proferire da labbro: Viva l’indipendenza italiana! «Attraversata Portoria fra i viva ed i canti, la comitiva, reduce all’Acquasola, scioglievasi in bellissimo ordine, senza che il più lieve sconcerto alterasse mai nel lungo tragitto la dignitosa calma e la gioia suprema di tutti.
      Ecco la festa del popolo. — V’ha festa al mondo che possa mai pareggiarla? Le feste nazionali del popolo sono la scena più imponente, lo spettacolo più grande che possa porgere una città; imperciocchè negli evviva, nei canti, nelle grida che egli solleva, v’ha il sentimento profondo della sua dignità e de’ suoi diritti; v’ha l’eco delle sue glorie, la grandezza de’ suoi giuramenti; le feste del popolo, destinate a solennizzare un gran fatto, una grande vittoria, sono la più gran prova della gagliardia cittadina. Il popolo che canta con tanto ardore e con tanto entusiasmo le sue vittorie, sente la propria forza. Sublimi sempre saranno le feste del popolo, ed eterne dureranno; imperciocchè le vittorie come quelle di Genova, di Milano, di Como, di Brescia, di Bologna, di Palermo, non facilmente ponnosi dai popoli dimenticare.
      Venuta la notte fuvvi in Genova generale luminaria.


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Balilla
La cacciata degli austriaci da Genova (1746)
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1865 pagine 131

   





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