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      Ma intanto il popolo, tenendo l'invito delle scritte anonime, traeva in piazza; e avuto sentore dei denari che si chiedevano e si promettevano, cominciò a strepitare e a gridare: "Ai predoni si mandi piombo e non oro!"
      Il caso volle che in quel punto avessero a passare per la via degli Orefici, proprio in su gli occhi dell'indignata moltitudine, certe carra di viveri e di legna che in mezzo ai soldati s'avviavano al castello. Non ci volle altro. I più impazienti diedero mano a quelle scheggie da ardere, e palleggiandole a modo di clava, con disperato coraggio si scagliarono sulla scorta, e, in un attimo, la disarmarono; predarono il convoglio, e corsero per le vie mettendo in fuga i soldati e gli accorsi gendarmi, strappando e calpestando quante insegne austriache loro venivano vedute, e levando il grido di viva il Piemonte! e morte ai barbari!
     
      Ecco come descrive il Cassola quell'episodio:
     
      La caccia proseguiva in tutte le parti della città, e i pochi soldati della guarnigione degli spedali che si trovavano sbandati, venivano inseguiti ed arrestati, e quelli che osavano rivolgersi colle armi alla mano, erano a colpi di bastone feriti o massacrati. Finita questa caccia selvaggia, che avrebbe destato orrore se la santità della causa non l'avesse giustificata, e dirò anzi nobilitata, succedeva una scena ben più aggradevole a vedersi; era l'atterrarsi e la distruzione degli abborriti stemmi. Ad ogni aquila bicipite che veniva precipitata a terra, succedevano acclamazioni di gioia: quelle che erano formate di legno venivano spaccate, ed esultanti i cittadini si armavano con que' pezzi, che a qualche soldato riescivano ben dolorosi.


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Il martirio di Brescia.
Narrazione documentata
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1863 pagine 125

   





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