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      Quel primo moto, che era costato la vita di uno de' nostri, non era ancora sbollito, che in mal punto si presentavano al Municipio, per ripetere la somma, il signor Pomo, comandante di piazza, unitamente al signor Canali, commissario de' viveri. La folla li serrò dappresso, e, riversatasi nelle aule municipali, li avrebbe spacciati senz'altri complimenti, se non era un tal Maraffio, popolano audacissimo e caporione dei macellai, che, pregato dal Sangervasio, dal Rossa e da altri cittadini, si prese i due male arrivati sotto il braccio, e gridando ch'ei ne rispondeva sulla sua testa, con piglio minaccevole, si schiuse il passo tra la folla, e condusse i prigionieri fuori delle porte sui Ronchi "dove, come soleva dire il popolo bresciano, magnificando col desiderio le cose, era il campo del general Boifava, cioè dove erano appostate le bande del curato di Serle, accresciute allora di altre guidate dal dottore Maselli, giovine ardentissimo di patrio amore."
      Il Comandante di piazza, fatto prigione, dovette per iscritto ordinare a' suoi di cedere alla guardia nazionale i fucili dei soldati, che erano ancora negli ospitali militari. L'ospitale di San Luca e quello di San Gaetano obbedirono senza porre tempo in mezzo: ma l'altro di Santa Eufemia rifiutò, e si fece a sparare sulla moltitudine: un cittadino in quella fazione cadeva morto, un altro gravemente ferito.
      Quel tradimento portò al colmo l'irritazione del popolo, e sebbene soltanto otto o dieci cittadini vi si trovassero muniti di schioppi, parte de' quali anco in mal essere, tuttavolta scambiarono alcune fucilate.


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Il martirio di Brescia.
Narrazione documentata
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1863 pagine 125

   





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