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      E il mio secondo! gridava un altro, cadendo col ventre squarciato dalla mitraglia; e i compagni che gli si affacendavano intorno lo udirono mormorare fino all'ultimo sospiro: Viva l'Italia! Viva la guerra! Un terzo, pericolosamente ferito, rifiutava con tenero disdegno i soccorsi dei commilitoni, e li ricacciava al fuoco dicendo: Ben è assai che manchi io: ma non comporterà mai che quattro sani per cagion mia lascino il posto.
      Questi magnanimi esempi, e la persuasione che in tutti era saldissima di combattere col favore del cielo e per la giustizia, avevano infiammati i nostri per modo che, più volte, lo Speri fu costretto ad esortare e a comandare che più cautamente procedessero. Mostrando come i cacciatori nemici s'acquattassero dietro gli alberi e le siepi, li pregava ad avanzarsi cauti e coperti e a studiare il terreno. Ma con quella audacia che rare fiate si può biasimare, perchè di rado s'incontra, i soldati della libertà rispondevano unanimi che essi sdegnavano di imitare i soldati della tirannide; e cacciandosi innanzi all'aperto, e talora salendo in sulle barricate tranquillamente, e come se fossero dietro sicurissima trinciera, puntavano e sparavano su gli accovacciati nemici. E con superba arguzia chiamavano codesto modo di combattere: alla bresciana; modo che veramente doveva parere agli Austriaci non sappiamo se più strano, o più terribile: onde forse erano indotti a credere che que' radi ed audacissimi stracorridori fossero l'antiguardo di grosse schiere. Il fatto è che essi, a quella tempesta, stavano spesso come smemorati.


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Il martirio di Brescia.
Narrazione documentata
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1863 pagine 125

   





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