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      La mattina del 29 alcuni esploratori, i quali erano stati mandati a Milano con lettere pel console di Francia, portarono una copia dell'armistizio di Novara. Ma l'enormezza veramente incredibile del fatto, e le speranze che i Bresciani avevano posto vivissime nell'esercito piemontese, non lasciava credere la funesta novella, a cui toglieva fede anche il difetto degli inviati, che avuto a Gorgonzola l'infelice bollettino, senza curarsi d'altro, e senza toccare Milano, mezzo smarriti, se ne erano tornati a Brescia.
      Intanto giungevano lettere e messaggi da varie parti, recando della guerra novelle lietissime, ma con molta varietà di circostanze. In tre cose però tutte le lettere cadevano d'accordo: che, cioè Carlo Alberto, dopo essere calato a patti cogli Austriaci, avesse abbandonato la corona e la patria al suo primogenito Vittorio Emanuele; che Radetzky, spintosi a fidanza nel cuore del Piemonte, vi fosse stato combattuto e vinto dal Chzarnowsky; che la casa di Savoja era stata dalle Camere dichiarata decaduta dal trono, e spiegata bandiera rossa. Onde il Comitato di pubblica difesa, temendo che le contraddicenti novelle fornissero materia a dispute oziose e a gelosie, senz'ira di fazione, diè fuori un bando che acclamava Chzarnowsky salvatore e dittatore d'Italia, e confortava i cittadini a seguire quella bandiera, che il vittorioso Piemonte avrebbe inalberata.
      I Bresciani non si lasciarono volgere dalle strane novelle a vanità di giudizi; i migliori se ne stavano in sulle mura e per le barricate; e loro bastava sapere che l'esercito piemontese vincesse.


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Il martirio di Brescia.
Narrazione documentata
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1863 pagine 125

   





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