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      Ma più valse la lettura del dispaccio a rinfuocare gli animi, che tante e sì grandi cagioni di dubbio a tenerli sospesi. Scriveva l'Haynau di volere tosto, senza condizione alcuna, la resa della ribellante città; se per mezzodì non fossero levate le serraglie e dati i passi alle truppe, prometteva l'assalto, il saccheggio, la devastazione e l'estrema rovina. E per far pompa della sua fiera natura, finiva dicendo: Bresciani voi mi conoscete, io mantengo la mia parola!
      Quantunque al disonesto scherno ribollissero i magnanimi sdegni, non si pigliò tuttavia alcun partito, che non fosse prudente, potendo nei consiglieri e nei capi del Municipio e del Comitato più la carità della patria, che l'ira. Decisero pertanto di mandare commissari in castello, che vedessero l'Haynau, e gli esponessero le cagioni per cui Brescia era sorta e voleva mantenersi in armi. Non fidandosi alcuno del tenente maresciallo, non furono i messi designati per sorte o per elezione; ma, come a sacrificio di vita si offrirono alla pericolosa andata Lodovico Borghetto e Pietro Pallavicini, animosi giovani, che erano stati pochi dì prima chiamati ad assistere il Sangervasio. E perchè si veda come i nobili esempi portano tosto i loro frutti, l'avv. Barucchelli e Girolamo Rossa vollero andare compagni ai primi due, e un Novelli si pigliò il carico di vessillifero, e li precedette col segnale di pace. Così si mossero per andare al castello, accorrendo d'ogni parte la moltitudine, che ora pregava loro dal cielo il ritorno, ora fremeva e si rifiutava di dare il passo, temendo che da quell'andare e venire non ne uscisse qualche brutta conclusione.


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Il martirio di Brescia.
Narrazione documentata
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1863 pagine 125

   





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