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      Dinanzi a siffatto spettacolo, scrive il Correnti, levossi taluno chiedendo gravemente se rimanessero armi, combattenti, munizioni e speranze. Rispose il Comitato di difesa: non essersi perduto un fucile: pochi dei combattenti caduti, e quei che rimanevano tanto più feroci e deliberati: le munizioni bastare per un giorno ancora: aspettarsi aiuti dalle valli e dal Camozzi che forse fra poche ore, o certamente entro il domani doveva capitare: della guerra grande non v'essere altre nuove dopo quelle dell'armistizio, che l'Haynau non aveva osato negare. I consiglieri allora considerando che se era cresciuto il pericolo, non erano però mutate le ragioni dei difendersi, decisero, che Brescia terrebbe finchè le avanzasse una cartuccia, od una speranza. E fu di subito codesta deliberazione notificata al popolo, che, raccolto sotto la loggia, confortava i suoi magistrati a pigliar per migliore il partito più onorevole.
     
     
      III
     
      L'aurora della domenica, prima di aprile, spuntava scolorata. Non si udivano più gli inni patriottici, le grida di gioia, le manifestazioni d'entusiasmo: soltanto lo sconforto si leggeva nel volto dei cittadini. Non era che il potente braccio del popolo bresciano fosse infiacchito dalle bombe e dalle baionette: lo spettacolo della morte dei molti Martiri non aveva fatto che accrescere energia ai cuori audaci dei volontari della libertà: era il sentimento dell'umanità, sconosciuto agli Austriaci, che aveva trovato facile albergo ne' petti bresciani. Il martellare spesseggiava più furioso del dì innanzi; i cittadini si cacciavano dappertutto fuori delle serraglie ad assalire i nemici, a snidiarli da quei posti che avevano sorpresi durante la notte, e col favore degli incendi.


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Il martirio di Brescia.
Narrazione documentata
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1863 pagine 125

   





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