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      Ma i cittadini, non potendo più rispondere a quegli insulti con colpi di moschetto, dimostrarono loro almeno che avevano aperte le porte alla forza brutale; ma che giammai il bombardatore fanciullo li avrebbe ridotti alla servilità di inchinarsi al suo nefando altare.
      Lo stato maggiore mandò a chiedere al Municipio viveri ed alloggi; e non lasciò di far capire come i soldati fossero stanchi e riscaldati dalla lotta e dalle celeri marce nella speranza di saccheggiare la città. Il Municipio che, quantunque minacciato, per miracolo di virtù civile, non aveva abbandonato il posto, non sapeva come aderire alle domande degli Austriaci. Erano parecchi giorni che in Brescia non entravano più carni; e nella pressura dell'assalto non si era neppur pensato a far pane. Fuggiti o rintanati nei nascondigli i fornai, gli osti, i pizzicagnoli; morti od ancora ostinati all'ultima barricata i macellai; oscura la notte, spezzate le lampade, chiuse tutte le finestre, piene le vie di soldati, che, guidati dal sinistro chiarore degli incendi, traevano colle scuri a sfondare usci e botteghe; l'andare nelle strade portava pericolo di morte; per cui non si potevano neppure mandare avvisi, nè chiedere consigli, nè interporre le supplicazioni presso i generali, i quali, sia avanzo di pudore, sia arte di crudeltà, non si lasciarono trovare. Malgrado tutto ciò, il Municipio, a mezzo dei fornitori di viveri nel castello, provvide che si imbandissero per le vie quindici mila razioni di pane, vino e salumi.


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Il martirio di Brescia.
Narrazione documentata
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1863 pagine 125

   





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