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      V
     
      L'alba del lunedģ, 2 aprile, rischiarando le opere della notte e destando alle usate cupidigie le soldatesche, crebbe orrore allo spettacolo della violata cittą e terrore negli abitanti. Quei pochi che si attentarono ad uscire delle case, inermi e in atto di supplichevoli, venivano minacciati, percossi, rubati; parecchi che recando il fucile disarmato ed arrovesciato verso terra s'avviavano al Municipio per liberarsene, furono in sull'atto fucilati, nč loro valse pregare e chiamare in testimonio Dio e i patti della resa. Per il che tutti, aspettando il saccheggio e la morte, stavano come la notte innanzi, rintanati ed agonizzanti. Non uscio, non bottega, non finestra aperta, se non dove divampavano gl'incendi, o dove erano entrati i saccomanni. Quasi in nessun luogo delle muraglie si potevano fissare gli occhi, senza vedere solco di palla o di scure, traccia di fuoco o macchia di sangue.
      Per le vie, narra il Correnti, smosso e spezzato il lastrico di granito, sconvolto l'acciottolato, mura squarciate dalle bombe, tetti crollanti, avanzi di barricate, che alle materie ricche talora e gentili di cui erano composte, e alla fretta con cui poi erano state atterrate e disperse ancora serbavano indizio del primo entusiasmo e dell'ultimo spavento; scarchi di stoviglie e d'arredi rotti e sperperati come dalla pazza furia d'un turbine; e qua e lą cadaveri di Bresciani e di soldati gią da molte ore insepolti; e talora gruppi di donne e di fanciulli accovacciati in qualche angolo remoto, fissi, muti, istupiditi, i quali dando immagine della morte dell'anima, erano pił strazianti a vedere che i cadaveri.


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Il martirio di Brescia.
Narrazione documentata
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1863 pagine 125

   





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